ARTICOLI E DOCUMENTI SULL'APOTOLO SAN PAOLO

sabato 28 febbraio 2009

CRISTIANESIMO PAOLINO O GIUDAISMO-SECONDA PARTE


Cristianesimo paolino o Giudaismo
Prof. Luca Fantini, TerraSantaLibera.org






Parte II
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“Insultati, benediciamo;

perseguitati, sopportiamo;

calunniati, confortiamo;

siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino ad oggi”



1 Corinzi, 4, 12-13



La missione di Paolo si può ben definire tutta caratterizzata dalla volontà di liberare completamente e definitivamente il Cristianesimo da qualsivoglia influsso giudaizzante, in primo luogo, come visto, dalla Legge precristica, ma non solamente da questa, bensì da tutta l’impronta etnica e ipernomista giudaica. Paolo – e nella dottrina e nell’azione apostolica – riportava il centro essenziale della Comunità Spirituale in quella trascendente forza di fuoco che si esprimeva nel Golgota e nella Resurrezione, liberandola gradualmente da ogni interferenza criptogiudaica o da ogni dissimulazione giudaizzante che, inevitabilmente, si infiltrava nell’originario movimento cristiano.

Paolo concepiva infatti la storia dell’umanità come un dramma escatologico che si snodava in due tempi: lo spartiacque decisivo, nella sua visione, era segnato dalla passione, dalla morte e dalla resurrezione del Cristo. L’Israele etnico (rappresentato dal popolo giudaico) e la sua Legge avevano una collocazione provvisoria, nient’affatto metafisica, nella prima scansione del dramma.

All’inizio dell’autunno del 51 d.C. Paolo faceva ritorno ad Antiochia, dopo un’assenza di circa cinque anni. Aveva infatti dato avvio ad una missione su Efeso che si era tradotta in una riuscitissima campagna di conversione in Macedonia, Galazia e Acaia. La maggior parte dei convertiti era composta, come è risaputo, da pagani. Paolo si considerava infatti l’Apostolo dei gentili. Il processo di conversione dei pagani era essenziale e diretto, segnato dal rapporto di comunione spirituale unitiva con il Cristo. L’Apostolo (Romani, 10, 1-11), spiegava non a caso che i Giudei non avevano zelo per Dio in base a una retta conoscenza, in quanto fine di tutta la Legge diveniva – dopo il Golgota - Cristo; la confessione nello spirito di Cristo unico salvatore, risorto dal regno della morte, diveniva così un processo di conoscenza e al tempo stesso liberazione - dalla legge del peccato e della morte, Romani 8,2 -, che non faceva alcuna distinzione tra Giudeo o Greco, data l’universalità escatologica, non etnica, del regno dello Spirito.

Giunto dunque finalmente ad Antiochia sull’Oronte, Paolo attendeva di ricevere una calorosa accoglienza. Viceversa veniva accolto con freddezza e poco calore dalla comunità cristiana. Per Paolo era una grande sofferenza scoprire che tale freddezza era proprio dovuta alla sua concezione escatologica, che si fondava sul superamento metafisico e cosmologico del Cristianesimo sul Giudaismo, in quanto la prassi continua (non limitata al dato storico circoscritto) misterica della Resurrezione quale evento cosmico che unificava trascendenza ed immanenza completava, realizzava, infine superava certamente la mera Legge. Infatti l’oggetto essenziale del kerigma, morte e resurrezione dell’Impulso Cristo (1Cor, 15, 3-5), narra una storia cosmico divina e soteriologica non un evento cronachistico.

Il motivo per cui il centro stesso della sua visione era messo in discussione era da vedere nel fatto che ad Antiochia giungevano alcuni giudaizzanti, i quali insistevano, con metodi realmente terroristici che contemplavano la liceità della diffamazione calunniosa verso l’opera missionaria di Paolo, che tutti i gentili che si convertivano dovevano diventare Giudei prima di essere accettati come Cristiani (Atti, 15,1).

La Comunità Cristiana di Antiochia diveniva quindi l’arena nella quale si contrapponevano e scontravano due differenti visioni del mondo, radicalmente diverse: il cripto-Giudaismo dei giudaizzanti i quali sostenevano la necessità di praticare, accanto al Vangelo, anche la circoncisione e le altre disposizioni della Legge mosaica e il reale Cristianesimo dell’Apostolo Paolo.

In differenti casi e in altre Comunità, Paolo ed i suoi dovevano affrontare questa terribile minaccia spirituale che in fondo negava intimamente l’essenza divina ed universale del sacrificio del Golgota e della Resurrezione, volendo restringere e conchiudere il Cristianesimo entro gli orizzonti e le dinamiche del settarismo etnico naturalistico giudaizzante il quale, per quanto ritualmente e metafisicamente fondato su una effettiva e legittima Tradizione spirituale, dopo l’avvento del Cristo si svuotava assolutamente di ogni sua positiva sostanzialità. Probabilmente, questi giudaizzanti anti-paolini agivano sotto la pressione “zelota” dei Giudei non cristiani[1].

Il divino fervore e la raffinata tecnica di pensiero mediante i quali l’Apostolo Paolo affrontava questa minaccia (che considerava una vera e propria eresia giudaizzante, che contrastava con lo spirito del Vangelo) sono testimoniati nella Lettera ai Galati. Il motivo che induceva l’apostolo a scrivere questa lettera era dovuto al fatto che in sua assenza si erano intrufolati fra i cristiani della Galazia alcuni giudaizzanti i quali sostenevano la necessità di praticare – accanto al Vangelo – la circoncisione e le altre disposizioni della Legge mosaica. Ma essi – ci dice l’Apostolo (Gal, 1, 6 - 9) - finivano per aderire ad “un altro Vangelo”, che non era quello di Cristo:



Mi meraviglio che così alla svelta vi volgiate da colui che vi ha chiamato nella grazia di Cristo a un altro Vangelo che, in realtà, non esiste di diverso; solo che vi sono alcuni i quali vi turbano e vogliono stravolgere il Vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un Angelo del cielo vi annunciasse un Vangelo diverso da quello che noi vi annunciammo, sia anatema! Come vi ho detto prima, ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un Vangelo diverso da quello che riceveste, sia anatema!



Ma non può esistere “un altro Vangelo”: ciò equivarrebbe ad una bestemmia.

Esistevano invece (e esistono tuttora, ancora più forti e radicali!) i giudaizzanti o i Giudei veri e propri, ossia i falsi “predicatori del Vangelo” i primi, bestemmiatori e negatori del Vangelo, i secondi. Costoro sono da condannare – secondo la Lettera ai Galati - allo sterminio: tale è il significato di anatema, che corrisponde all’ebraico herem. A tale condanna non potrebbe sfuggire nemmeno l’Apostolo qualora, per ipotesi invero remota, si mettesse a predicare un Vangelo diverso di quello autenticamente cristico già ricevuto dai Galati.

Il Vangelo è cristico o detto di Cristo non solamente poiché il Cristo ne è l’oggetto, ma soprattutto poiché ne è l’Autore, sempre vivo e spiritualmente operante. La Tradizione viva della Cristianità, la cui essenza è l’azione pentecostale eroica apostolica, in effetti assai malvista da protestanti e calvinisti, tradizione immortalante ed eternante in quanto fondata sulla prassi misteriosofica di consapevole deificazione del fedele, ha qui il suo lievito metafisico e la sua suprema scaturigine. “Custodisci il deposito” (1Tim, 6-20; 2 Tim, 1,14), dirà in seguito con insistenza l’Apostolo a Timoteo, facendo proprio a questo riferimento.

L’Apostolato paolino, infatti, sulla linea della Tradizione solare apostolica, non derivava dal sangue e dalla carne (Gal, 1, 16); la grande luce del Logos veniva invece dall’alto e la sua missione dall’alto era legittimata.

Di ciò si aveva chiara prova sia nel “concilio” di Gerusalemme sia nell’incidente di Antiochia.

Per “concilio” di Gerusalemme, con ogni probabilità, Paolo non intendeva quello narratoci dagli Atti. A causa della endemica violenza della reazione giudaizzante di fronte al messaggio rivoluzionario che la predicazione paolina portava con sé, la comunità di Antiochia stabiliva di mandare Paolo e Barnaba (ma l’Apostolo conduceva con lui anche Tito: Gal, 2,1) dagli Apostoli e dagli “anziani” della Chiesa madre di Gerusalemme per dirimere la questione. Riunitosi il “concilio” di Gerusalemme, veniva deciso a favore delle tesi di Paolo: solo la fede nel Cristo Risorto giustifica, le opere della Legge non hanno valore salvifico (Atti, 15, 1-29). Gli stessi Apostoli di maggiore autorità e prestigio (Pietro, Giacomo, Giovanni) riconoscevano la validità assoluta dell’azione paolina.

Di fronte a questa “vittoria” e legittimazione della dottrina paolina, si scatenava la reazione dei giudaizzanti, che inviavano dei propri emissari da Gerusalemme ad Antiochia per sabotare la vita e la legittimità della Comunità Cristiana di ispirazione paolina. I gerosolimitani avevano certamente l’obiettivo di tracciare una netta frontiera tra cristiani ebrei e cristiani gentili, poiché i giudaizzanti ritenevano che solo nell’isolamento avrebbero potuto conservare i loro valori tradzionali. Così i giudaizzanti facevano leva sulla tradizionale certezza giudaica in base a cui i gentili contaminavano cibi e bevande degli ebrei appena se ne fosse presentata la minima opportunità. Si parla oggi tra gli studiosi più equilibrati, di “una tattica terroristica” giudaizzante antipaolina [2], che facendo leva sulla rigorosa applicazione delle leggi alimentari o di pratiche fisiologiche somatiche, tendeva chiaramente a contrastare l’essenza spirituale universale della visione e della prassi paoline fondate sul Vangelo. Già Paolo (Gal, 2,4) aveva definito i giudaizzanti “falsi fratelli intrusi, i quali si erano introdotti di sottomano per spiare la nostra libertà, quella che abbiamo in Gesù Cristo, allo scopo di renderci schiavi”; poi non esitava, senza paura alcuna, a redarguire la stessa condotta di Pietro -che sopraggiunto anche egli ad Antiochia, dopo la venuta dei giudaizzanti, finiva per cedere alle loro richieste “simulando” con loro le varie pratiche fisiologiche, timoroso dei giudei – sottolineando apertamente, di fronte alla presenza di tutti, che alla Legge si è sostituita la presenza del Cristo, che ha eliminato l’artificiale ed astratta divisione tra giudei e gentili, mostrando come tutti gli uomini, gravitanti sotto la schiavitù del principe di questo mondo, debbono, per la liberazione, sperimentare la Resurrezione. Per questo, continuava Paolo, gli Apostoli, pur essendo di nascita Giudei (dunque Giudei secondo la carne ma non secondo lo Spirito!), abbattevano completamente la necessità della Legge per aderire al verbo di Cristo (Gal, 2, 15-16).

La Legge – che i cripto-Giudei volevano imporre al resto della Comunità Cristiana annacquando così l’essenza della dottrina del Cristo, fondata sull’evento cosmico della Passione, Morte e Resurrezione – era ritenuta alla stregua di una “maledizione”, in quanto la Legge criptogiudaica non era assolutamente in grado di “giustificare”, ossia di abolire la maledizione cosmica ed eterna della schiavitù e del peccato. Nella visione cosmologica e pneumatologica paolina, Cristo forzava dal di dentro la Legge, diveniva solidale con la nostra “carne di peccato” (Rom, 8, 3), e inseminando nella umanità schiavizzata e spezzettata il germe della Resurrezione e della divinità, rendeva possibile superare la necessità schiavistica della Legge. Per questo l’Apostolo sosteneva che “Cristo ci ha riscattato dalla maledizione della Legge, divendendo lui stesso maledizione a favore nostro” (Gal, 3,13).

La Legge non era contro le premesse divine, prima che arrivasse l’era della Libertà – con l’Avvento cristico – la Legge aveva una sua positiva funzione, quella di essere appunto “il nostro pedagogo verso Cristo”, ma in seguito al Golgota, con la fondazione cosmologica del principio di Resurrezione, era la fede che forniva la possibilità di divenire “figli di Dio”. L’unica realtà era per Paolo quella del Cristo cosmico, l’uomo poteva così compenetrare la sua intera individualità dell’Impulso Cristo superando la sua funzione meramente somatica e naturale (Giudeo o Greco, uomo o donna che fosse). Paolo considerava tutti i cristiani, di provenienza sia giudaica sia pagana, come morti alla Legge. Essa era nella sua concezione un elemento del vecchio ordine del mondo, come lo erano il peccato e la carne, segni di schiavitù verso una remota ed in fondo astratta trascendenza, dopo l’incarnazione del Logos nell’immanenza.

Paolo introduceva così due elementi fondamentali, essi stessi connessi, rispetto ai quali il messaggio somatico e naturalistico fisiologico criptogiudaico perdeva definitivamente significato. L’elemento della libertà e l’elemento della crocifissione come evento di rinascita spirituale e di liberazione pneumatica.

Proprio in Galati (4, 21,31), l’Apostolo sottolineava come dalla discendenza della schiava Agar poteva nascere solamente il testamento della “schiavitù” che finiva per essere l’essenza stessa della Legge mentre dalla discendenza di Sara, a lungo sterile ed infeconda, in quanto simbolo della lunga attesa messianica, nasceva la libertà. I veri figli della promessa alla maniera d’Isacco divenivano così, nella prospettiva escatologica paolina, i cristiani, non più gli Israeliti. Da questa contrapposizione cosmologica (Agar, Ismaele e i Giudei da un lato, Sara, Isacco e i Cristiani dall’altro) Paolo traeva due importanti conseguenze che hanno una grandissima rilevanza anche nei tempi odierni. La prima è che come Ismaele perseguitava Isacco, così fanno oggi i Giudei con i Cristiani (v. 29). La seconda è che, come Sara chiedeva ad Abramo l’espulsione della rivale e dello stesso figlio, affinché questi non prendesse parte all’eredità (Gen 21, 10 –12), così anche i Giudei, finchè rimarranno tali, ossia ostili al Vangelo, non potranno aver parte all’eredità dei beni autenticamente messianici e saranno estromessi dal regno dello Spirito.

Agar continua così ancora oggi a vivere in tutti i Giudei ostili al Cristianesimo. Sara vive invece in tutti i “figli della promessa” che vivono nel retto, verace spirito della libertà cristiana. Ecco, il significato del verso 31:



Perciò, fratelli, noi non siamo figli di una schiava, ma della donna libera.



Alla concezione metafisica cristiana della libertà (Paolo introduce nel lessico teologico tale motivo espresso in continuazione con i vocaboli liberare – eleutheroun -, libertà – eleutheria -, libero – eleutheros – e viene per questo definito, oltre che Apostolo dei Gentili, Apostolo della libertà), concezione in cui liberare è riscattare – exagorazein -, “Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della Legge”, l’Apostolo unisce il motivo dello “scandalo della croce” (Gal, 5,11): scandalo per i Giudei ed i giudaizzanti, in quanto il Cristo, assumendo natura umana, incarnandosi, divenendo uomo al modo umano, per generazione, facendo della passione e della morte l’asse stesso cosmologico della storia, sovvertendola dunque e azzerandola dal suo interno, trasforma radicalmente la condizione degli uomini, giudei o gentili che siano. Paolo sosteneva che il Cristo, coinvolgendo gli stessi credenti nella sua passione e nella sua morte per inchiodamento e crocifissione, li faceva morire alla Legge, al dominio Giudaico, facendoli rinascere di vita nuova. I credenti autentici ricevevano così il sigillo dell’adozione figliolanza divina, la figliolanza abramitica, che azzera e annulla l’eredità carnale etnica giudaico-ismaelita.

L’essere cristiani, in Paolo, significa “correre” nella via della croce e della Resurrezione, poiché “quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e le sue voglie” (Gal, 5,24).

Al contrario dei criptogiudei o i giudaizzanti, che predicano la circoncisione al solo scopo di sfuggire alla persecuzione per il nome di Cristo (Gal. 6, 5, 11) e gloriarsi gli uni davanti agli altri per il numero dei loro adepti, l’Apostolo pone la sua gloria nella croce solare, luminosa di Cristo, per questo Egli percepisce che il mondo è “scomparso”, crocifisso, diventato ormai oggetto di obbrobrio e ripulsa come lo era per gli antichi il patibolo della croce. L’unica cosa che ormai importa è la “creatura nuova” ri-nata nello spirito del Logos cosmico, ossia del Cristo risorto. Solo questi ri-nati potranno far parte attiva del regno della Redenzione e dello Spirito. Essi saranno l’autentico “Israele di Dio”, in antitesi all’ Israele “secondo la carne”. Paolo “schiavo in Cristo” – la schiavitù in Cristo è in Paolo l’autentica libertà in quanto crocifigge l’uomo inferiore facendolo rinascere in uomo cristificato – termina questa profondissima e assai radicale Lettera, avvertendo in tal modo i giudaizzanti:



D’ora in avanti nessuno mi procuri più fastidi: io porto infatti nel mio corpo le stimmate di Gesù.



Paolo stesso veniva non a caso a più riprese perseguitato da costoro, avendo sul suo corpo i segni della sofferenza e della persecuzione, autentici sigilli di cristificazione. Coloro che sono “nati secondo la carne” (Gal, 4,29), i discendenti dell’eredità carnale giudaico-ismaelita, i Nemici dell’uomo li chiama l’Apostolo Paolo, in quanto Nemici del Figlio dell’Uomo, infatti, perseguitavano coloro che ri-nascevano secondo lo Spirito. I Giudei perseguitano i Cristiani, sembra essere questa la missione permanentemente contro-resurretiva e cristianofoba della Sinagoga, sosteneva l’Apostolo: “Hanno ucciso perfino il Signore e i profeti, e hanno perseguitato anche noi, e non piacciono a Dio, e sono nemici di tutti gli uomini, impedendo a noi di predicare ai gentili perché si salvino” (1Tess. 2, 15-16). In 2Cor. 11, 21-29, Paolo diceva di sentirsi in pericolo a causa della violenza aggressivamente cristianofoba dei Giudei:



Dai Giudei per cinque volte ho ricevuto quaranta colpi meno uno, tre volte sono stato battuto con le verghe, uno volta lapidato…..



Come sosteneva Ireneo, Paolo era l’autentica bestia nera dei Giudei e dei giudeo-cristiani[3]; secondo Origene, gli ebioniti e gli encratiti si basavano sull’ordine dato dal sommo sacerdote Anania di colpire l’Apostolo sulla bocca (Atti 23,2); sulla scia dei Riconoscimenti dello Pseudo-Clemente, tutte queste correnti giudaiche o criptogiudaiche consideravano Paolo il vero nemico, l’ “uomo nemico”[4].

Alcuni, tra i filosofi cristiani più illuminati e sereni, continueranno in seguito la gigantesca lotta spirituale avviata da Paolo. E’ il caso di Giustino, filosofo e martire cristiano, il quale nel famoso Dialogo con il Giudeo Trifone, ambientato nella scuola filosofica di Efeso (155-160) continua con enorme sottigliezza e notevoli capacità intuitive la visione paolina. L’essenza del Dialogo si basa sulla concezione paolina di cancellare il popolo di Israele e di sostituirvi, unico vero Popolo di Dio, quello cristiano. Negli ultimi capitoli, Giustino scriveva:



Dopo aver ucciso Cristo non vi siete pentiti; voi ci odiate perché noi attraverso di lui crediamo a Dio e al padre dell’universo: ci uccidete ogni volta che potete; bestemmiate continuamente contro di lui e i suoi discepoli; ciò nonostante noi preghiamo per voi e per tutti gli uomini senza eccezione come ci ha insegnato nostro signore Gesù Cristo….Non sparlate….contro il crocifisso, non schernite le sue piaghe per mezzo delle quale voi potreste guarire come noi siamo guariti….[5]



Alla fine Giustino ribadiva che il Cristo è l’autentico Israele e che i cristiani sono il vero popolo di Israele, secondo lo Spirito[6].

Continuamente, nel corso della storia, il cristianesimo paolino veniva attaccato e sabotato da influssi giudaizzanti (ma anche neo-pagani, certamente) che, colpendolo subdolamente dall’interno, impedivano la nascita, l’incarnazione storica di un’autentica comunità cristiana fedele alla predicazione di Paolo.

Tranne rarissimi casi e particolari personalità, la parola di Paolo, che è la Parola stessa del Cristo, spesso veniva occultata e sabotata proprio da coloro che dovevano farsene incarnazione: rimanevano invece sedotti dalle lusinghe e dalle illusione giudaizzanti, che si erano perfettamente inserite nel tessuto cristiano.

Lo si vede nei tempi attuali quando si parla comunemente di cristianesimo, ma in realtà si finisce – nella gran parte dei casi – nella scuola del giudeo-cristianesimo (l’anatema dell’Apostolo Paolo!), oggi assumente la maschera del sionismo cristiano: una mistificazione scheletrica ed abborracciata in cui il giudaismo messianico veterotestamentario ipernomista (privato e mutilato dell’essenza cosmica del kerigma e del Logos) ed un calvinismo radicalistico si mischiano fino a comporsi in una nuova ideocrazia planetaria, quale autentica ombra dei nostri tempi che nulla ha di cristiano, che prepara la strada al regno antinomista massimamente anticristiano.

L’ipernomismo giudaizzante si concretizza infatti, nei momenti di massima decadenza spirituale, in trasgressione magica antinomista (sia d’esempio la storia del sabbatianesimo e del frankismo): ciò è inevitabile in quanto la Legge, svuotata della sua profonda essenzialità spirituale, simbolo quindi di maledizione, come sosteneva Paolo, portatrice del male cosmico, produttrice del male cosmico, nei momenti di più radicale sovversione dei valori, si impone come il falso lievito ultramessianista che necessita della trasgressione, della rottura spirituale, per rinvigorire in modo adeguato un seducente e potente materialismo magico-metafisico. Qui vi è l’immenso iato metafisico escatologico. Il Cristo, in senso paolino, diviene un maledetto per noi, crocifisso per solidarietà con i trasgressori della Legge, a loro volta per questo maledetti, per aver trasgredito la Legge. E’ una rottura metafisica, quella compiuta dal Cristo, che svuota dall’interno la Legge in quanto si riappropria del suo principio originario trascendente, movimentando la storia umana nel senso dell’Amore e della vittoria eroica sulla morte.

Dall’altro lato, abbiamo invece un nomismo cosmista, un ultralegalismo metafisicamente legittimato da un normativismo astrattamente oggettivistico che diviene, nei momenti storicamente decisivi, normativismo magico che si radicalizza in particolari momenti come antinomismo escatologico fondato sul principio della santità della distruzione e della infima trasgressione, dell’insudiciamento metafisico quale nuova legge, quale necessità rituale. Come possiamo oggi constatare. Tale antinomismo in realtà non fa altro che portare alle sue necessarie quanto tragiche conseguenze un astratto legalismo che si fonda dogmaticamente su una Legge svuotata della sua positiva solare essenzialità, proprio poiché, come insegnava Paolo, gli autentici figli di Dio e i veri discendenti di Abramo erano ormai nel Figlio, erano cioè coloro che, battezzati nello Spirito di Cristo, si rivestivano di Cristo stesso.



Luca Fantini



Luca Fantini, dottore di ricerca in storia della filosofia collabora con la nostra Redazione con particolare attenzione a problemi filosofici, storici e alla questione giudaica



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NOTE


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[1] R. Jewett, Paul: From the semitic point of view, New Testament Studies 17, 1971, pp. 198-212.

[2] J. O’Connor, Paolo. Un uomo inquieto, un apostolo insuperabile, Milano 2007, pag. 138.

[3] J. Pierre Lèmonon, I giudeo-cristiani. Testimoni dimenticati, Milano 2007, pag. 38.

[4] Ivi, pag. 39.

[5] Iustinus, Dial. 133, 4, PG 6, 785.

[6] Dial. 135,1, PG 6, 788.



continua...



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CRITIANESIMO PAOLINO O GIUDAISMO-PRIMA PARTE


La Rivoluzione dello Spirito.

Cristianesimo paolino o Giudaismo

Prof. Luca Fantini, TerraSantaLibera.org






Parte I


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Le tesi di W. D. Davies e di Boyarin, per citare alcune tra le più significative, agli studiosi sono certamente note. In un importante articolo del 1977[1], Davies sosteneva che la conversione di Paolo andava concepita non come il passaggio da una fede religiosa ad un’altra, ma segnava il tentativo di portare a compimento, mediante l’accettazione del messaggio del Cristo Gesù, quella tradizione giudaica nella quale Egli era cresciuto. Sosteneva Davies, non a caso, che le proposizioni paoline riguardo i giudei e il giudaismo erano discussioni interne alla comunità e alla visione giudaiche[2].

L’unità in Cristo, su cui Paolo spesso si soffermava, per Davies non eliminava affatto l’elemento etnico, la differenza etnica, dato che le specificità etniche venivano in tal caso conservate[3].

Boyarin riprendeva e sviluppava invece le tesi della teologia liberale del diciannovesimo secolo, fondate sulla concezione del giudaismo diasporico come giudaismo ellenizzato, tollerante, “liberale”. Boyarin riconosceva immediatamente (pag. 1[4]) di essere – da ottimo talmudista quale è - inesperto negli studi neotestamentari e paolini, ma nonostante questo formulava una interessante tesi, che finiva per fare del Cristianesimo paolino una religione sorta su un comune retroterra di pensiero costituito dal medioplatonismo giudaico di lingua greca, caratterizzata dalla tensione conoscitiva e emozionale per l’Uno primordiale, che sembrava poi assumere nella visione paolina caratteri dualistici e simbolico-allegorici affini a quelli di Filone[5].

Per Boyarin, Paolo era dunque un maturo prodotto della diaspora greca, un giudeo ellenista radicale, la cui visione era dualista come quella filoniana, sebbene Paolo non fosse stato proprio un platonico[6].

Partendo ora proprio da quanto affermava (a mio avviso, in tal caso, a ragione) il Davies, ossia che l’essenza profonda della visione spirituale paolina era fondata sul riconoscimento dello “svelamento” messianico del Cristo, si può già notare un elemento centrale ed irriducibile. Il Cristo (nella concezione del mondo paolina) era il divino Salvatore dell’intero genere umano, il Logos di cui si parlava in apertura del Vangelo giovanneo. Era l’alfa di una nuova creazione cosmologica ed escatologica, molto più del solo Messia di Israele. Si aveva già un centrale punto di discontinuità, di rottura metafisica con la tradizione giudaica.

Cristo, per Paolo, è il signore universale: il salvatore dei gentili come dei giudei. I giudei in quanto tali non sono ancora nella nuova creazione: devono entrarvi[7].

Tra tutti gli autori neotestamentari, Paolo era quello che maggiormente usava, in senso peraltro più pregno di significato spirituale, il titolo kùrios. L’esperienza di Damasco, quale esperienza del Risuscitato, era anche certamente una luminosa esperienza della signoria, ossia della cosmica potenza del Cristo-Logos. Per i cristiani delle origini, come è noto, non vi poteva essere esperienza della Risurrezione del Cristo che non fosse al tempo medesimo esperienza della solare potenza cosmica del Logos che ha sconfitto ed annichilito le tenebrose forze della morte.

L’esperienza del Risorto diveniva chiaramente il centro della teologia mistica paolina. Di questa direzione si aveva, evidentemente, chiara manifestazione in uno dei più significativi vertici cristologici dell’intero Nuovo Testamento, ossia l’inno della Lettera ai Filippesi, dove il percorso kenotico del Cristo raggiungeva, nel momento di massima umiliazione (di obbedienza fino a morte, fino a morte di croce), la “sovraesaltazione” e, dunque, il Nome di Signore (“Gesù Cristo Signore”) - nome inesprimibile primordiale in quanto Verbo ineffabile sopra di ogni nome – assurgeva alla gloria del Padre. Per Paolo, come per i primi cristiani, l’unico Dio, il Padre, aveva diviso la sua signoria cosmica e celeste con il Cristo “esaltato”. Sviluppando le immagini di “gloriosa esaltazione” in questo inno, Paolo attribuiva al Cristo caratteristiche e poteri che non erano affatto quelli del Messia di Israele ma quelli del Dio-Padre. Cristo, il Logos, diveniva l’unico signore e a lui venivano conferiti il potere come cosmica potenza e la gloria eterna. Al riguardo, il Capes sottolinea che con Paolo ha inizio un processo metafisico di assoluta deificazione del Cristo arrivando a affermare che non vi sarebbe una vera distinzione tra la cristologia paolina e la cristologia giovannea[8].

Così i cristiani autentici, non appartenevano, nella concezione paolina, solo al Padre, ma anche e soprattutto al Cristo (“Voi siete di Cristo”, I Cor. 3,23). E in Cristo, come ribadiva ancora Paolo (Gal 3,28), non c’è più né giudeo né greco: non vi è dunque differenza etnica da salvaguardare e assolutizzare, ma la tensione spirituale in vista della cristificazione, ossia della salvezza spirituale, diviene la vera milizia cristiana: “In realtà, pur camminando nella carne, noi non militiamo secondo la carne, giacchè le armi della nostra milizia non sono carnali, ma potenti al cospetto di Dio, tanto da abbattere le fortezze” (2 Cor. 10,3-6). Il privilegio giudaico era necessariamente superato quale segno di una ricaduta nell’antica schiavitù, in tale visione. La salvezza, che derivava chiaramente dalla comunione con lo spirito Logos, con il Cristo risorto, era destinata sia ai gentili sia ai giudei. Essa non derivava in nessun caso dalla legge giudaica, che, come è evidente, non poggiava affatto sulla fede in Cristo[9].

Paolo poteva così essere apostolo dei pagani (Gal. 2,9). Proprio perché nessuno, per l’apostolo, poteva essere giusto – di fronte al Padre – per mezzo delle mere opere di legge; la retta giustizia andava conquistata mediante il principio della Fede, che è fede nel Risorto, dunque nella vittoria sulla necessità naturale della morte e della materia. Nella concezione paolina, la Fede è la volontà solare, il coraggio metafisico del discepolo di forzare – fino ad annientare – la propria natura psicosomatica, per vivificare l’essenza immortale pneumatica dell’Io sono. Paolo ad Atene dipingeva tale esperienza sovrannaturale con le parole: “…..in Lui infatti viviamo, ci muoviamo e siamo” ( Atti. 17,28). Cristo è infatti il fine o, ancor meglio, la fine della Legge (Rom, 10, 4). Cristo aveva compiuto l’autentica rivoluzione cosmologica ed escatologica in quanto aveva sostituito la Legge. La via dell’Amore e dello Spirito, nell’apostolato paolino, aveva ragione del formalismo etico legalistico e del naturalismo schiavistico meramente basato su elementi ereditari o etnici. L’autentica circoncisione non era quella che appariva visibilmente nella carne, ma quella del cuore, quella che si realizzava nello spirito, non nella lettera (Rom. 2,28-29).

Il popolo di Dio, l’Israele di Dio, nella rivoluzione assiale compiuta da Paolo diveniva, il popolo cristiano nella sua totalità.

La cristianità paolina non dipendeva, appunto, dalla legge e dalla circoncisione ma dalla Fede nel Risorto e dalla volontà solare di sperimentare l’eroica via della passione, morte ed esaltazione-Risurrezione, quale folgore pentecostale che portasse dalla potenza all’atto puro continuo la presenza dello Spirito Santo in ogni singolo cristiano.

Allo stesso modo, la tesi di Boyarin finisce per scontrarsi con alcuni dati di fatto. La teologia cristologica paolina è, in realtà, veramente poco influenzata dall’ellenismo.

Se già gli ellenisti di Luca non sono affatto giudei “liberali”, quindi poco ortodossi, ancor meno lo è Paolo, che non è neppure propriamente un ellenista, bensì….un fariseo zelante della legge[10].

Mentre infatti, i giudei diasporici accoglievano solamente timorati di Dio e proseliti, ossia gentili che aderendo alla legge mosaica, si avvicinavano in qualche modo al giudaismo, Paolo e gli altri evangelizzatori cristiani attuavano nella storia una rivoluzione radicale e uno spostamento di paradigma. L’ingresso nel popolo di Dio era infatti consentito a tutti coloro che si mostravano pronti a vivere e realizzare (entro se stessi) l’esperienza della passione, della morte mistica e della Risurrezione.

Grazie a Paolo, l’apostolo dei gentili (Gal. 1,16), iniziavano ad apparire comunità che si possono ben chiamare pagano-cristiane, come in Galazia, come a Tessalonica, come a Corinto; le chiese paoline erano composte in larga maggioranza da gentili[11].

Nelle comunità spirituali paoline (autentiche comunità “celesti” – Fil. 3,20 - in cui erano presenti e giudei e gentili, comunità il cui unico reale discrimine era da vedersi nella volontà assoluta del discepolo lottatore in Cristo – il “buon soldato di Cristo” di cui Egli parla, 2 Tim. 2, 3-4 - di farsi consapevole “servo del Logos”, prigioniero del Cristo, di saper così portare l’armatura spirituale fino al supremo sacrificio) si abbandonavano i segni tradizionali di rituale demarcazione della comunità giudaica, si realizzava un clima di totale indipendenza dalla comunità giudeocristiana di Gerusalemme, si accresceva infine il forte distacco con le comunità giudaiche stesse.

La comunità spirituale paolina era infatti la nuova entità, il terzo genere, tertium genus, che si instaurava con una celeste legittimazione tra le comunità giudaiche e quelle pagane. Come sostiene Meeks[12], già molto prima della fine del primo secolo, le comunità paoline (che mai furono, come precisa l’autore, “una setta del giudaismo”) erano socialmente e spiritualmente indipendenti, nelle città dell’impero, dalle comunità giudaiche. L’apostolo era profondamente interessato alla relazione metafisica tra la Cristianità e l’ “Israele di Dio”, il quale, come precisa sempre Sanders[13], non si identificava affatto con l’Israele etnico, ma con la comunità spirituale cristificata nel suo stadio escatologico, finale. Risultano così fuori luogo, in definitiva, gli astratti apparentamenti che si vorrebbero vedere tra la teologia paolina e, anche, lo stesso giudaismo ellenistico, in quanto, il dualismo paolino non è statico e stabile ma assolutamente aperto ad un eventuale “monismo dinamico” per quegli atleti di Cristo i quali, superando l’antica alleanza fondata sulla Legge, sappiano risolvere e fronteggiare le forze del male e della morte:

In realtà, per la Legge io sono morto alla Legge per vivere a Dio: con Cristo io sono stato crocifisso! Ormai non vivo più io, ma è Cristo che vive in me; quella vita poi che vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me[14].

Dunque, Paolo operava una autentica rivoluzione metafisica totalmente fondata sulla ineffabile via del Cristo-Logos, centrata sulla rottura spirituale con due fondamentali pilastri del giudaismo del suo tempo. In primo luogo, affermando che il patto è stato trasferito da Abramo a Cristo, e sostenendo che il patto si può ben estendere a coloro che sono in Cristo pur non essendo giudei, Paolo negava di fatto e apertamente l’elezione di Israele. Ancora, specificando che attraverso la Fede e la comunione con il Cristo Risorto, e non semplicemente, accettando la legge, si entrava a far parte del popolo di Dio, Egli operava una ulteriore fondamentale rottura con il giudaismo.

Radicalizzando, anche mediante la sua missione che si concludeva nel martirio (molto probabilmente dovuto, come è scritto, all’“iniziativa dei giudei della capitale… con la connivenza dei giudeo-cristiani della chiesa romana” che non vedevano certamente di buon occhio la sua attività missionaria che faceva leva sulla libertà dalla legge[15]) questa “rivoluzione dello Spirito”, Paolo finiva per portare a compimento l’inevitabile divisione tra cristianesimo e giudaismo, con una scelta ardita che apriva degli spazi che avrebbero avuto immense risonanze metafisiche ed altrettanto importanti conseguenze storiche. Che riassumo infine in tre brevi punti.

a) Il cristianesimo paolino rimane un insuperato modello ascetico. Una “rivoluzione dello Spirito”, in cui l’esperienza interiore (ma ben più concreta e “reale” della realtà sensibile esteriore) della passione, della morte mistica e della Resurrezione è al centro. Non l’intellettualismo, non l’elemento dogmatico-confessionale. Questa via è massimamente eroica, in quanto porta alla comunione pneumatica con il Cristo, passando tramite le più radicali prove dell’anima e, talvolta, anche del corpo. Prove terribili. L’uomo naturale non comprende le cose dello Spirito divino cristico; esse sono follia per lui, ed egli non è capace di intenderle, in quanto solo chi possiede l’intuizione spirituale può comprenderle e giudicarle. L’uomo spirituale o pneumatico raggiunge invece, tramite queste dure prove, il pensiero del Cristo (1 Cor. 2,16). La conoscenza diviene così, nella via paolina, liberazione in quanto libertà dal dominio dell’uomo naturale o psicosomatico e trionfo spirituale dell’Io vero ossia: “non io ma il Cristo in me”. Un’autentica rivoluzione dello spirito, la più eroica e ardua in quanto finalizzata alla vittoria sulla morte ed alla risurrezione poiché “…non tutti certo moriremo ma tutti saremo trasformati” (1 Cor. 15,51). E il corpo fisico allora si trasmuterà in corpo glorioso, adamantino, immortalante. Corpo di Resurrezione.

b) La via paolina abbatte assolutamente l’astratta necessità della legge giudaica. La legge giudaica è schiavitù; essa deriva dall’antica Alleanza, la legge del monte Sinai, che genera nella schiavitù, rappresentata da Agar. E’ la “Gerusalemme attuale” il simbolo di tale schiavitù, diceva anche allora l’apostolo (Gal. 4,26)! L’antica Alleanza è nata dalla carne, è partorita nella schiavitù e dunque nel materialismo metafisico. Non può conoscere la libertà spirituale. Il Cristo è la libertà dello spirito. La legge è ormai, dopo l’avvento cristico, un mero pedagogo che ci ha condotto al Cristo ed ha esaurito dunque completamente la sua funzione.

c) Il dominio assoluto, astratto e trascendentistico (ma non realmente trascendente) della legge, è quindi il giogo della schiavitù abbattuto sull’umanità. Chi si fa circoncidere, chi osserva la legge, non ha nulla a che fare con Cristo. “Ecco, io Paolo vi dico: se vi fate circoncidere, Cristo non vi gioverà nulla” (Gal. 5,2). I seduttori giudaizzanti, che annullano il cosmico scandalo della Croce, che turbano la retta via dei discepoli cristiani, dovrebbero farsi mutilare (Gal. 5,12). In seguito andranno affrontate le visioni paoline espresse su Israele nella Lettera ai romani, ma qui va ribadito che la visione spirituale paolina, basata sul superamento della legge, che è tutta piegata sulla carne e sulla schiavitù, e che dunque non erediterà il Regno di Dio, ci dice che il Cristo è la libertà dello spirito. Che quelli che sono in Cristo hanno crocifisso e redento la carne, camminando e vivendo secondo lo Spirito. Revolutio o renovatio, questa di Paolo, che non è adeguamento passivo ad una legge religiosa, o fanatica estinzione in una trascendente e oppressiva deità, ma segnata dalla volontà di fecondare l’uomo nuovo. L’uomo cristificato in quanto ha avuto il coraggio di sperimentare il potere resurrettivo come atto di massima libertà e di radicale autocoscienza attuantesi. La coscienza che essenzia l’azione di questo uomo è l’Amore.

Il sangue individuale, nella nuova Alleanza, è cristificato e sacralizzato da questa azione eroica e risurrettiva del vero cristiano. La comunità cristiana concepita da Paolo, retta dalla prassi misterica dell’Amore che vince la morte, è il simbolo terreno della nuova alleanza.

A tale comunità è dato divenire “Israele”, corpo del Logos. Autentico “popolo eletto”: oltre i vincoli della Legge, dell’astratto dogma, del sangue etnico ereditato, non sacralizzato e non cristificato.



Luca Fantini

5 febbraio 2009

Dottore di ricerca in “storia della filosofia”, collabora con la Redazione di TerraSantaLibera.org come esperto di storia e di storia della filosofia, con particolare attenzione alla questione giudaica.

Link a questa pagina : http://www.terrasantalibera.org/CristianesimoPaolino-L.Fantini.htm


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vai al "Cristianesimo Paolino o Giudaismo", parte seconda


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NOTE

[1] Paul and the People of Israel, New Testament Studies 24 (1977), pp. 4-39

[2] Op. Cit., pp. 19-20.

[3] Op. Cit., pag. 24.

[4] A radical Jew: Paul and the Politics of identity, Los Angeles Berkeley 1994.

[5] Op. Cit., pp. 13-15.

[6] Op. Cit., pag. 61.

[7] E. P. Sanders, Paolo, la legge e il popolo giudaico, Brescia 1989, pag. 68 n. 63

[8] D.B. Capes, Old Testament Yahweh Texts in Paul’s Christology, Tubingen 1992, pp. 181-183

[9] E. P. Sanders, Op. Cit., pag. 251.

[10] G. Iossa, Giudei o Cristiani?, Brescia 2004, pag. 140.

[11] E. P. Sanders, Op. Cit., pp. 296-300.

[12] W.A. Meeks, Breaking away: Three New Testament Pictures of Christianity’s separation from the Jewish Communities, Chico 1985, pp. 106 e segg.

[13] E. P. Sanders, Op. Cit., pag. 334.

[14] Galati 2, 19-20. In S. Cipriani, Le lettere di Paolo, Assisi 1999, pp. 363-364.

[15] R. Fabris, Paolo di Tarso, Milano 2008, pag. 248.



continua...



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